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Essere “sacerdote” iniziato alla spiritualità africana ha anche un lato artistico.

Le vicende del ramo paterno della mia famiglia gravitano intorno al lago d’Iseo e alla Val Trompia, dove i miei genitori si sono stabiliti dopo il matrimonio. Qui, il passaggio da agricoltori a operai, reso possibile dal fiorire di industrie, soprattutto siderurgiche, nella zona, forniva maggiori sicurezze economiche rispetto alle prospettive contadine della provincia. Infatti, allora (negli anni ’70) l’attività turistica sul Garda non era ancora sviluppata.

Come ho scoperto recentemente, nell’anima di questi antenati si nascondeva una lacerazione profonda, data dall’aver rinunciato alle aspirazioni artistiche in nome di questa stessa sicurezza economica.

La convinzione diffusa era che “di arte non si campa”.

Mio padre da giovane era un ottimo cantante e mio nonno suonava l’armonica a bocca, amava la fisarmonica e scriveva segretamente poesie.

Anche io ho vissuto questo mito e ho provato a percorrere la strada della musica, scontrandomi con il mondo e la mentalità industriale (dove, apparentemente, la musica e l’arte non trovano posto), senza però l’energia necessaria per inseguire uno sperato successo.

Le questioni irrisolte nella genia rimangano in sospeso per i discendenti e, soprattutto quando non vengono portate alla luce, diventano destino.

Questo apparente “fallimento” ha permesso di portare alla luce questo mito famigliare e collettivo, dal quale è iniziata la mia avventura nel mondo spirituale sciamanico e africano in particolare.

Sento profondamente che i geni paterni hanno sostenuto l’aspirazione spirituale inscritta nei “geni” materni fornendole una “base” materiale.

L’eredità paterna e famigliare, contraddistinta da un forte radicamento nei mezzi materiali di sopravvivenza, mi ha fornito le risorse economiche e finanziarie per realizzare questo progetto. .

Sebbene vissuta in forma conflittuale, mi ha trasmesso anche una sensibilità “artistica”, che ha trovato comunque il suo spazio nell’incontro con una cultura distante come quella africana.

Secondo gli antropologi che hanno dedicato particolare attenzione alla cultura animista africana, quest’ultima è una “cultura materiale”, in cui le divinità abitano “luoghi fisici” che si trovano in natura – come alberi, pietre, fiumi.

Al pari di tutto ciò che si trova in natura, il sacro, in questa cultura, abita anche un altro genere di “luoghi fisici”, come sculture e vasi di terracotta prodotti intenzionalmente dall’uomo.

Essi che raccolgono al proprio interno miscugli d’erbe e altri oggetti, dove la divinità o entità invisibile dimora per affinità energetica.

Questi oggetti, definiti “dei-oggetto” dagli antropologi (e “feticci” dai missionari cristiani) condividono alcuni aspetti interessanti con l’opera d’arte.

Ad esempio, il fatto di nascere in un preciso momento e luogo. Un dio-oggetto creato oggi, in Africa, è diverso da un dio-oggetto creato oggi in Italia, o ieri in Africa. Esso riceve le influenze sottili di questo momento e luogo di nascita (proprio come il campo energetico determinato dal tempo e dal luogo di nascita secondo l’astrologia.

Inoltre, il suo creatore sintetizza, in un gesto che avviene in un certo momento e luogo precisi, sapienze antiche e profonde (che ricordano antiche ricette culinarie)

Infine, una volta nata, l’opera diventi a tutti gli effetti un essere senziente e autonomo dal suo creatore, come qualunque opera d’arte che si rispetti.

Queste sapienze antiche, concentrate in un manufatto prodotto dall’uomo, ricordano il formarsi della vita all’interno dell’uomo (di un figlio ad esempio).

Non si tratta sempre di un’opera d’arte? In fondo, anche nell’arte scorre la vita – del suo creatore e poi, se è davvero un’opera d’arte, quella dell’opera, che prende vita propria. Quante opere d’arte sono passate alla storia senza che ne conosciamo l’autore?

Tra l’altro, il percorso nella spiritualità africana viene detto “la via della vita”.

Questo mi porta oggi anche a dire che sì, in fondo in qualche modo è possibile anche qui, anche per me, “vivere d’arte”.